domenica 23 settembre 2007

RAGAZZA 20 ENNE GAMBIZZATA


23.Set.2007 Napoli Quartieri Spagnoli

Ancora un episodio negativo nel centro storico napoletano, una ragazza di 20 anni, è stata attinta alle gambe da un colpo d'arma da fuoco. Gli investigatori non escludono alcuna ipotesi: la ragazza potrebbe essere stata colpita per errore visto anche i numerevoli colpi rinvenuti in quell'area, o avrebbe assistito a qualche episodio che non doveva vedere oppure una rivalsa che riguardasse la stessa.

venerdì 21 settembre 2007

20 enne arrestato da Carabiniere libero dal servizio rapina a Forcella


il 19 set. giorno di San gennaro e proprio nella via del duomo, Gennaro Aprea, di 20 anni, e' stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di avere rapinato un orologio ad un avvocato di napoli di 45 anni .Il Carabiniere Petrone Giuseppe 24 enne napoletano in servizio a Sestri Levante (GE) ,libero dal servizio si trovava a Napoli per trascorrere qualche giorno di ferie nel suo paese nativo, quando assistiva alla scena e interveniva prontamente in aiuto al derubato riuscendo a bloccare il malvivente.
Ma il rapinatore era appoggiato da un complice che interveniva favorendo la fuga per i vicoli di Forcella , ma il militare riesce comunque a mettersi sulle traccie lo pedina per i vicoli dei quartieri di forcella, per poi bloccarlo, trarlo in arresto e recuperare la refertiva con l'aiuto di altri militari della locale Stazione Carabinieri di BorgoLoreto (NA), che in quel momento si trovavano in zona per l'occasione della Festa di San Gennaro.
La vittima della rapina ed una anziana 77 enne del luogo, travolta dall'Apre Gennaro nella fuga, sono ricorsi alle cure all' ospedale Loreto Mare, ove sono stati medicati per contusioni ed ecchimosi.

domenica 16 settembre 2007

53 ORDINI DI CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE ERCOLANO

In un'operazione congiunta anticamorra, svoltasi all'alba, i carabinieri del comando provinciale di Napoli e gli agenti della squadra Mobile della Questura hanno arrestato 53 persone appartenenti ai clan camorristici 'Ascione-Montella' e 'Iacomino-Birra', da anni in lotta tra di loro per il controllo degli affari illeciti nella zona di Ercolano. Nei confronti degli arrestati sono state emesse ordinanze di custodia cautelare in carcere. Sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidi, tentativi di omicidio, traffico di droga, usura ed estorsioni.Durante le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, sono stati individuati capi e gregari dei due clan, accertate le attivita' criminali di ognuno degli affiliati, nonche' scoperti mandanti ed esecutori di numerosi agguati, con omicidi e ferimenti, degli ultimi anni, compiuti nell'ambito dello scontro armato. Nel corso dell'operazione stati eseguiti 53 arresti, 44 dei carabinieri e 9 della polizia, sono stati anche sequestrati beni per un valore di 8 milioni di euro. Beni come appartamenti, terreni, fabbriche e perfino un'emittente radiofonica, 'Nuova Ercolano' che, secondo quanto risultato dalle indagini, veniva utilizzata per trasmettere messaggi ai detenuti in carcere. L'indagine, denominata"Reset", colpisce al cuore due clan impegnati in una della faide piu' cruente del napoletano, non solo coinvolgendo elementi di vertice e gregari, ma anche aggredendone i patrimoni accumulati riciclando i proventi del narcotraffico e del 'pizzo' imposto a molti commercianti della zona di Ercolano a Pasqua, Natale e Ferragosto ma anche ogni 15 del mese, seppure con cifre che si aggiravano intorno a 2-300 euro. I sigilli anche per "Radio Nuova Ercolano", gestita da Luca Langella, incensurato fino a un mese fa, quando fu arrestato per porto abusivo d'armi e ora raggiunto da un nuovo provvedimento di custodia cautelare, e Vincenzo Oliviero, pluripregiudicato ed elemento di vertice del clan Birra. La radio inviava messaggi ai detenuti, convocava gli affiliati e dava indicazioni organizzative attraverso messaggi (come "salutiamo XY che e' nuovamente sotto il cielo di Napoli", che era il modo per indicare una scarcerazione), dediche e scelta dei brani musicali da mandare in onda secondo un codice compreso dagli affiliati. Il clan Ascione, poi, dicono le indagini, dopo gli omicidi del 2003, aveva spostato la sua sede operativa a Sestri Levante, in Liguria, dove si era creata una 'colonia' di affiliati. Al termine dell'esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, davanti al Commissariato di polizia di Portici dove erano stati radunati alcuni degli arrestati si sono create due ali di folla, prevalentemente femminile, con le donne degli Ascione da una parte e quelle dei Birra dall'altra. "Con questa operazione abbiamo evitato altri omicidi - spiega il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia partenopea Franco Roberti - per un buon arco di tempo non ci dovrebbero essere altre azioni militari dei due clan". Tra i beni sequestrati ci sono sette auto blindate, un negozio di oggettistica, 'Emozioni', nella disponibilita' di colui che e' ritenuto capo clan, Giovanni Birra, nonche' sistemi di videosorveglianza nelle abitazioni di Ciro Villano e Salvatore Viola. Ed ancora, sequestrato anche un gabbiotto blindato davanti l'abitazione di Michele Ascione, figlio del boss Mario Ascione, ammazzato in un agguato, ad Ercolano, nel marzo 2003. Sigilli anche a 13 appartamenti, 3 fabbriche specializzate nella lavorazione di pellame, appezzamenti di terreni per circa 7mila metri quadrati.

sabato 15 settembre 2007

Potenziamento della Polizia Municipale tra Portici ed Ercolano


E’ stato firmato un protocollo d’intesa, voluto dal prefetto di Napoli, per il potenziamento delle forze dell’ordine nelle zone di confine tra i comuni di Portici e di Ercolano, dove i controlli sono davvero scarni e sporadici.
I controlli si concentrano maggiormente per le violazioni del codice della strada, rimozione di veicoli abbandonati, venditori ambulanti e commercio non autorizzato di generi alimentari.
I primi controlli sono iniziati nella zona di via Benedetto Cozzolino e via Madonnelle, snodo fondamentale per il passaggio di automobili ma è anche causa di interminabili rallentamenti e traffico cittadino intenso.
L’intento è proprio quello di rimarcare la presenza della polizia municipale sul territorio e contare sul senso civico cittadino per il rispetto delle regole e delle leggi.
Gli interventi previsti per i prossimi giorni sono tutti concentrati nelle zone periferiche e saranno tutti dello stesso tipo: con i carri gru saranno eliminate autovetture abbandonate o quelle di intralcio al traffico cittadino, ai conducenti che invece violeranno il codice della strada, a seconda della violazione, oltre allo scalo dei punti della patente in molti casi è previsto anche il sequestro della macchina.
Il calendario degli interventi con le relative operazioni è stato deciso proprio dal sindaco di Ercolano Nino Daniele e il delegato alla Sicurezza di Portici, Salvatore Duraccio, quasi a voler testimoniare in maniera tangibile l’impegno delle pubbliche amministrazioni a voler risolvere le situazioni di illegalità diffuse sul territorio.

venerdì 14 settembre 2007

Operazione Reset 2, Operazione Yill, Operazione Lager FAIDE BIRRA ASCIONE

Operazione Reset 2 effettuata dalla Compagnia Carabinieri di Torre del Greco (NA), Operazione YILL effettuata dalla Squadra Mobile di Napoli, Operazione Lager condotta dal Reparto Territoriale di Castello di Cisterna (NA)

Le indagini condotte nell’ambito delle 3 citate operazioni evidenziavano la struttura verticistica dell’organizzazione in oggetto e la ripartizione dei compiti tra i singoli affiliati.
Il ruolo di capi ed organizzatori assunto da taluni indagati, emergeva nel corso di alcune conversazioni intercettate presso le sale colloqui degli istituti di pena in cui l’attuale reggente del clan, ovvero ZENO STEFANO, si trovava ristretto.
Tali intercettazioni provavano che ZENO STEFANO, grazie ai colloqui coi propri affiliati (in particolare il fratello ZENO GIACOMO e la moglie BIRRA ANNAMARIA), era informato di eventuali problemi insorti all’interno del clan e, conseguentemente, formulava ordini e direttive in relazione alle più importanti vicende delittuose riguardanti l’organizzazione.
Il ruolo di capo del sodalizio continua ad essere riconosciuto a ZENO STEFANO (e da questi esercitato nei termini e con le modalità sopra evidenziate), mentre il compito di dirigere e di coordinare dalla libertà il gruppo criminale e di gestire le relative attività illecite era assunto da OLIVIERO VINCENZO inteso “Papà Buono” fino al suo arresto avvenuto nell’ottobre 2004.
Dopo l’arresto dell’OLIVIERO, avvenuto in esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa nell’ottobre 2004 dal G.I.P. di Napoli per il reato di associazione a delinquere di stampo camorristico, tale compito era assunto da ZENO GIACOMO, fratello di STEFANO.
OLIVIERO VINCENZO e ZENO GIACOMO, infatti, si succedevano nel tempo nel compito di distribuire le “mesate”, di pagare le spese legali degli affiliati detenuti e di sovrintendere al cospicuo affare legato al traffico delle sostanze stupefacenti.
Alla leadership esercitata dallo ZENO STEFANO dal carcere non poteva non affiancarsi una direzione esterna esercitata da un esponente che, in quanto libero, potesse assumere immediatamente le decisioni urgenti per la sopravvivenza dell’organizzazione e per il buon andamento delle attività criminali del gruppo.
Accanto ai capi della organizzazioni, e ai soggetti investiti di posizioni di responsabilità, emergevano le figure di diversi affiliati, i quali, pur assumendo la veste di semplici “soldati”, non di rado erano chiamati a compiti importanti e che comunque ne caratterizzavano la posizione all’interno del gruppo.
E’ il caso, ad esempio, di VIOLA VINCENZO, inteso “lo chauffeur” , al quale negli ultimi tempi era affidata la cassa dell’organizzazione e comunque la responsabilità del danaro provento delle attività illecite necessario al pagamento delle “mesate”.
Un compito più prettamente militare, invece, era svolto all’interno dell’organizzazione da VIOLA ENRICO (fratello del sopramenzionato VINCENZO) inteso “recchia di porco” e da CEFARIELLO SALVATORE. Gli stessi, come sarà evidenziato, risultano responsabili di azioni di fuoco in danno di esponenti di clan avversari.
In particolare, CEFARIELLO SALVATORE è attualmente detenuto in stato di custodia cautelare in carcere per aver partecipato al duplice tentato omicidio di BIFULCO ANNA ed ESTILIO ANIELLO (episodio sicuramente ascrivibile alla faida contro il clan ASCIONE) e per l’omicidio di MANCONE GIUSEPPE avvenuto a Mondragone il 14.8.03 (fatto delittuoso perpetrato su richiesta del clan alleato MASSARO ed in relazione al quale il CEFARIELLO era recentemente condannato all’ergastolo dalla Corte d ‘Assise di S.M.C.V.).
VIOLA ENRICO, a sua volta, trovasi attualmente detenuto in regime di custodia cautelare in relazione al tentato omicidio di CASORIA ANDREA episodio in relazione al quale era recentemente condannato alla pena di 12 anni di reclusione.
In relazione ad altri indagati, emergeva un loro spiccato “eclettismo” all’interno del clan dove svolgono, all’occorrenza, sia compiti strettamente legati alle vicende “militari” dell’organizzazione (custodia di armi ed impiego in prima presone in fatti di sangue), sia compiti legati al traffico della droga ed alle attività estorsive in danno degli imprenditori.
Come emerge analiticamente dalle “schede personali” redatte dalla P.G., gli affiliati al clan BIRRA risultano essere stati costantemente controllati assieme da parte delle Forze dell’Ordine.
Come comprovato dalle intercettazioni ambientali e telefoniche effettuate nel corso delle indagini, i contatti erano finalizzati non solo alla perpetrazione dei reati fine dell’associazione camorristica in oggetto, ma erano anche suggeriti dalla necessità di “camminare assieme” per scoraggiare o comunque meglio rispondere ad attentati per mano di killer operanti o per conto dei clan rivali.
Al riguardo, va evidenziato che in molteplici occasioni gli indagati erano controllati o comunque notati mentre utilizzavano assieme auto blindate.
Nel corso delle intercettazioni sulle utenze in uso agli indagati era appurato che in molteplici occasioni, e più volte al giorno, OLIVIERO VINCENZO (Papà buono) - all’epoca responsabile, da libero, della direzione del gruppo camorristico - ed altri affiliati, richiedevano all’emittente radio denominata Radio Nuova Ercolano (che successivamente risultava gestita proprio dall’OLIVIERO e da LANGELLA LUCA) brani musicali dedicandoli ai detenuti appartenenti al loro clan, al fine di tranquillizzare i reclusi sul fatto che il predetto “Papà Buono”, non avesse dimenticato i suoi “confratelli”.
L’uso di tale emittente radiofonica risultava il mezzo più semplice e meno rischioso, per l’invio di messaggi criptici a tutta l’organizzazione.

Omicidio al bar Roxy: ergastolo a Cefariello


MONDRAGONE. Tre ore, tre ore soltanto per valutare l’attendibilità dell’unica testimone oculare, le prove raccolte dall’accusa, la tenuta della ricostruzione investigativa fatta dal pubblico ministero, le obiezioni della difesa. E in quelle tre ore la Corte ha deciso: Salvatore Cefariello è uno degli assassini di Giuseppe Mancone, spacciatore di Mondragone ucciso all’esterno del bar Roxy nella notte tra il 13 e il 14 agosto del 2003, due anni e mezzo fa. Nessuna attenuante, nessuna giustificazione possibile, nessuno sconto sulla pena più alta chiesta dal pm al termine della requisitoria. Alle 17,30 il presidente Maria Rosaria Cosentino ha letto il dispositivo della sentenza e ha condannato all’ergastolo il giovane Cefariello. Che nella gabbia, da dove aveva ascoltato le accuse del pm Raffaele Cantone e l’arringa dell’avvocato Bruno Spiezia sperando in una assoluzione, è sbiancato, realizzando solo allora che dal carcere non uscirà mai più, pur avendo vissuto soltanto 24 anni. Fu Salvatore Cefariello, quella notte, a sparare. Fu lui l’uomo individuato dal clan Birra per regolare i conti con Mancone, che tanti fastidi aveva creato agli «amici» mondragonesi della famiglia Fragnoli. Fu lui ad arrivare da Ercolano a bordo di uno scooter in compagnia di un complice non ancora identificato, a perdersi nelle campagne di Mondragone, a sparare fuori al bar, a scappare imboccando una stradina cieca, a ritrovare la via che lo avrebbe portato lontano dal paese, a bruciare il motorino. E fu lui che la maestrina incrociò mentre tornava a casa con le amiche. Aveva raccontato in aula, nell’udienza del 5 luglio scorso: «Mi ero trattenuta con due amiche fuori al bar Roxy, dovevamo decidere l’appuntamento per la gita di Ferragosto. Eravamo in bicicletta, si era fatto molto tardi. Ci siamo allontanate di qualche decina di metri, loro erano un po’ più avanti. Ho sentito il primo colpo di pistola, sapevo che non era la marmitta di una moto, e mi sono fermata. Il tempo di voltarmi e ho sentito il rumore degli altri spari, e poi gente che scappava, che scavalcava le auto. Dopo qualche istante è arrivato un motorino, volevo chiedere ai ragazzi che erano a bordo che cosa fosse successo. Mi sono voltata, ho incrociato il volto del conducente - ho visto le sopracciglia folte, gli occhi - e poi l’altro ragazzo: alto, i capelli lisci e lunghi fino alle orecchie fermati con il gel. Diceva il primo: ”Tutto a posto? Hai fatto?”. E l’altro: ”Sì, sì, vai, vai...”. Quello dietro aveva la pistola in pugno, nera con una riga argentata. Ho tirato dritto, ho rincorso le mie amiche mentre quei due imboccavano una traversa senza uscita; ho visto che tornavano indietro e ho pensato che cercassero me. Ho corso come una disperata con la bicicletta, ho raggiunto le mie amiche, ci siamo infilate in un’altra traversa e poi siamo entrate nel giardino di una casa, che aveva le scale esterne. Le mie amiche si sono accovacciate per non farsi vedere, io ho avvertito i carabinieri con il cellulare». La ragazza aiutò gli investigatori a tracciare l’identikit dell’assassino. Fu inviato a tutti gli uffici investigativi della Campania e da Ercolano arrivò la risposta positiva: era identico alla foto di Cefariello. Che quella notte aveva il telefono sotto controllo: il segnale del cellulare aveva agganciato i ponti di Casapesenna e, cinque volte, di Mondragone. Giovanissimo, un fratello armiere del clan Birra a 15 anni, aveva fatto in tempo a collezionare denunce e arresti per spaccio di droga. Due mesi dopo l’omicidio Mancone sarà arrestato anche per un duplice tentato omicidio commesso a Ercolano: quello di Aniello Estilio, e della giovane moglie Assunta Bifulco, in attesa di un bambino. LA REQUISITORIA«Ecco perché è colpevole» La testimonianza della maestrina, l’identikit accurato fatto grazie a lei subito dopo la sparatoria, il riconoscimento in aula. E poi: i tracciati telematici dei ponti telefonici che indicavano la presenza di Cefariello, nella notte tra il 13 e il 14 agosto, a Casapesenna e Mondragone. E infine: le dichiarazioni del pentito Massaro che ha spiegato prima alla Procura, poi alla Corte, le ragioni dello scambio di favori e di killer tra i mondragonesi del gruppo La Torre-Fragnoli e gli ercolanesi dei Birra. Per il pm Raffaele Cantone, che aveva coordinato le indagini dei carabinieri sull’omicidio di Giuseppe Mancone e che ha rappresentato la pubblica accusa nel processo in Corte di Assise (III sezione, presidente Maria Rosaria Cosentino, a latere Antonio Corbo), la prova della colpevolezza di Salvatore Cefariello è stata raggiunta grazie a questi tre elementi. Ma nella sua lucida e appassionata requisitoria ha valorizzato soprattutto la testimonianza della ragazza. «È come un fiore nel deserto, una rarità», una zona dove nessuno parla e nessuno ha mai visto nulla. «Ha collaborato con i carabinieri e con i magistrati senza alcuna altra ragione che non fosse il desiderio di verità e di giustizia. In cambio di nulla».
Vide i killer, li denunciò non ha più amici e lavoro Abbandonata dagli amici, dai compagni di ballo, da una parte della famiglia. Non ha più la sua casa, non ha un’auto né può acquistarla. L’ha lasciata sola anche lo Stato, che ha liquidato la pratica, e la sua vita, con il cambio di generalità e uno stipendio che le consente di mangiare e di pagare le bollette ma non di ricostruirsi l’esistenza e un futuro. La «rosa nel deserto», come l’ha definita il pm Raffaele Cantone nella sua requisitoria, è una giovane donna di 35 anni, nata e vissuta a Mondragone fino alla metà di agosto del 2003. Fino alla notte in cui fu ucciso Mancone, era una ragazza come tante altre: aveva studiato fino al diploma di maestra d’asilo, aveva lavorato come trimestrale alle Poste, disegnava, andava a scuola di ballo, faceva lunghe passeggiate in bicicletta, si arrangiava come colf nelle case di alcuni professionisti della cittadina. Aveva un ragazzo che voleva sposare, un gruppo di amiche che vedeva quasi ogni sera e sogni, e speranze, normali. Ha perso tutto nella notte tra il 13 e il 14 agosto, quando sulla sua strada incrociò due assassini, li guardò in faccia, collaborò all’identificazione di uno di essi. Da allora le amiche le hanno tolto il saluto, la sua città l’ha respinta e lei vive in una località segreta con la qualifica di testimone di giustizia. Le avevano garantito che avrebbe potuto rifarsi una vita, in realtà ha soltanto rinunciato per sempre alla sua identità. Con il cambio di generalità, infatti, ha perduto il suo passato e cioè il diploma, gli attestati di specializzazione, l’iscrizione al collocamento, le referenze di quanti le avevano dato una piccola occupazione, sia pure in nero. Quando chiede un lavoro non può dire chi è, e neppure chi è stata: le sbattono la porta in faccia. Doveva toccare allo Stato, garantirle un futuro normale almeno quanto il passato che ha dovuto dimenticare. Come ringraziamento per la collaborazione offerta alla giustizia, le è solo stata sbarrata ogni porta.

COME SI E FORMATO IL CLAN BIRRA




Al termine della guerra di camorra degli anni ’80, in virtù della collaborazione con l’A.G. dei germani COZZOLINO PIETRO e SIMONE ed a seguito degli arresti operati nel corso dell’operazione di P.G denominata “Nemesi”, l’allora clan dominante degli ASCIONE era sostanzialmente indebolito.
Tale situazione di fatto contribuiva alla creazione di una nuova fazione opposta creata dalla scissione dalle fila del clan ASCIONE di IENGO TOMMASO, soprannominato “Masuccio”, e BIRRA GIOVANNI, soprannominato “Giannino a Mazza”. I 2 decidevano di realizzare attività illecite “in proprio” ed in particolare il traffico di stupefacenti, costituendo il clan IENGO-BIRRA, che poteva contare sulla partecipazione di numerosi alleati, tra i quali, la schiera dei DURANTINI, incaricati dello smistamento di sostanze stupefacenti nella zona alta di v. Pugliano, e di numerosi altri spacciatori organizzati in una rete capillare nella zona di v. Cuparella e di v. Pace.
La spartizione del traffico di stupefacenti in Ercolano determinava una sanguinosa lotta tra i 2 clan rivali. L’omicidio, avvenuto in Parete (CE) nel 1997, di VITELLO FRANCESCO e VIGNOLA MICHELE, elementi vicini al clan ASCIONE, per mano del clan IENGO-BIRRA, segnava l’inizio di una lotta tra i 2 clan con la consequenziale morte, in rapida successione, di IENGO TOMMASO, capo omonimo clan, di IENGO DUILIO, figlio di TOMMASO, di BORRELLI GIUSEPPE, elemento di spicco del clan BIRRA di BIRRA SALVATORE, persona vicina al clan BIRRA. Il sanguinoso contrasto determinava una assidua e consistente presenza delle forze dell’ordine sul territorio, inducendo i 2 clan a fingere una finta tregua. Con la morte di IENGO TOMMASO e del figlio DUILIO, BIRRA GIOVANNI diveniva capo indiscusso del clan che, nel tempo, acquisiva l’attuale configurazione di contiguità con quello degli IACOMINO.
A seguito, poi, degli arresti eseguiti a carico degli indagati, tra i quali i fratelli BIRRA ANTONIO e GIOVANNI, 2 personaggi del clan di primo piano quali OLIVIERO VINCENZO e DURANTINI GIOVANNI prendevano le redini del clan.